Previsione e controllo … oppure … percezione e risposta?
I progetti, le commesse aziendali, le iniziative temporanee … non sono tutti uguali e non richiedono lo stesso approccio. Anche nel lavoro gestionale, così come in quello operativo, la frase “abbiamo sempre fatto così” è quanto mai anacronistica e senza senso. Dovrebbe emergere sempre più la frase “Dipende … in questo caso bisognerebbe…” oppure la frase “Perché no?! Bella idea! Proviamo a fare in un altro modo…”.
Poiché i progetti sono unici, bisogna personalizzare l’approccio.
Nella matrice di Stacey si comprende bene che i progetti possono essere fortemente caratterizzati e contraddistinti a seconda che siano costituiti da una bassa, media o notevole incertezza, sia rispetto ai requisiti che dal punto di vista tecnico.
I progetti a elevata incertezza hanno alti tassi di cambiamento, complessità e rischio. Le previsioni sono utili nei progetti semplici e sono al limite nei progetti complicati, ma perdono ogni rilevanza nei progetti complessi.
Queste caratteristiche possono generare problemi ai tradizionali approcci predittivi (plan-driven), che mirano a determinare anticipatamente gran parte dei requisiti e che tengono sotto controllo i cambiamenti attraverso un processo strutturato di gestione delle modifiche. Al contrario, gli approcci adattativi (change-driven) sono stati creati per esplorare la fattibilità in cicli brevi e adattarsi rapidamente sulla base di valutazioni e feedback.
Il paradigma di previsione e controllo ci spinge naturalmente a cercare delle risposte perfette. Se il futuro potesse essere previsto, allora il nostro compito consiste nel trovare le soluzioni che portano i migliori risultati.
Fare previsioni ci dà un confortante senso di controllo, ma la realtà è che le organizzazioni, i progetti e il mondo in cui viviamo sono diventati sistemi complessi. In tali sistemi, diventa privo di senso prevedere il futuro a lungo termine e, quindi, analizzare la nostra strada verso la decisione migliore. Quando lo facciamo, per abitudine, sprechiamo solo energia e tempo per produrre un’illusione di controllo e perfezione.
Le organizzazioni ed i team Agili hanno «fatto pace» con il mondo complesso in cui la perfezione ci sfugge. Non mirano in modo esplicito alla miglior decisione possibile, ma a una soluzione fattibile, che possa essere implementata rapidamente, provando se funziona oppure no. Sulla base di nuove informazioni, la decisione può essere rivisitata e migliorata in ogni momento. Ecco che allora appare all’orizzonte un nuovo paradigma non più basato su previsione e controllo, ma costituito da percezione e risposta.
Tutto questo è stato compreso verso la fine degli anni 90, dopo aver commesso tantissimi errori di interpretazione e di approccio dei progetti.
I progetti che avrebbero dovuto essere gestiti con approcci adattativi sono stati condotti con approcci predittivi con tutte le naturali conseguenze. Infatti, frustrazione e fallimenti si sono collezionati in grandi quantità, quando le persone cercavano di applicare le tecniche di lavoro con approccio definito a progetti di lavoro con approccio empirico. I metodi agili sono stati sviluppati in risposta a questo problema.
I pionieri delle metodologie agili hanno raccolto le tecniche più efficaci per il lavoro sulla conoscenza e le hanno adattate per l’uso su questi progetti, sperimentandole per vedere cosa funzionava meglio. Questa nuova iniziativa è cominciata nel campo dello sviluppo software, ma poi si è diffusa ed è stata utilizzata in tutti i tipi di progetti che prevedessero tentativi e prove, dal mondo della ricerca ai progetti di cambiamento delle abitudini delle persone.
“Essere agili” non significa semplicemente utilizzare un determinato insieme di strumenti o pratiche, o seguire una metodologia specifica.
L’agilità implica davvero l’adozione di un nuovo modo di pensare.
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